_ sviluppo industriale del Veneto: excursus storico
Il secondo conflitto mondiale colpì duramente il tessuto produttivo regionale. Le fabbriche venete, già provate dalla tipica penuria di materie prime che caratterizzava l’economia di guerra, dovettero fare i conti con il drammatico stato in cui versavano le infrastrutture.
La fine delle ostilità comportò la riapertura dei mercati internazionali e la ripresa dei tradizionali canali commerciali. La risposta del laniero vicentino rappresentò un tipico esempio di risposta strategica alle difficoltà oggettive: azzerate le riserve di valuta pregiata, i lanifici vicentini s’ingegnarono a trovare metodi di pagamento alternativi. All’apertura di linee di credito con i partner tradizionali ben presto si affiancò la decisione di versare il corrispettivo del valore della materia prima lavorata in prodotti finiti.
Nella sua semplicità questa formula permise, già nell’autunno del 1946, di mettere in moto i primi stabilimenti che seppero inserirsi nell’export nazionale. Giovarono certamente congiunture economiche quali l’aiuto finanziario estero, nonché la capacità di sfruttare al meglio il ribasso globale di alcune materie prime, quali le lane del Commonwealth.
La ricostruzione e la riconversione produttiva degli impianti furono però il vero volano della ripresa. Il connubio fu particolarmente visibile all’interno del polo industriale di Marghera: uscito molto danneggiato dal conflitto, recuperò i livelli occupazionali ante guerra e vide fiorire anche nuove realtà imprenditoriali. Tra di esse, la giovane industria dell’alluminio che rappresentò un ulteriore stimolo alla crescita della produzione industriale e favorì la nascita di un vasto indotto di numerose piccole e medie imprese che si inserirono nei più vari settori della filiera produttiva.
Fu l’espansione di queste realtà imprenditoriali a caratterizzare il tessuto industriale regionale nei primi anni ’50. Se è vero che le origini storiche della PMI veneta risalgono agli anni ’30, come risposta degli artigiani alle difficoltà di quel decennio, le prospettive del dopoguerra contribuirono a sviluppare nuovi fermenti di imprenditorialità in tutto il territorio.
Il censimento ISTAT del 1951 presentava un tessuto industriale composto da poco più di 56.000 aziende attive, per un totale di circa 356 mila occupati, prevalentemente nei settori alimentare, chimico e tessile, che continuava a mantenere una certa preminenza nel panorama produttivo. Buoni segnali provenivano anche dalla meccanizzazione diffusa delle fabbriche: la media censita di 2,48 HP (cavalli vapore) per addetto, sono la prova del processo di modernizzazione che il sistema fabbrica del Veneto stava vivendo.
Se da una parte la vivacità della PMI può venir ricondotta alla crescita economica nazionale che investì il Paese durante il boom economico, il suo tratto saliente era costituito dalla sorprendente espansione nel settore della manifattura leggera. Le aziende venete si specializzarono a produrre una vasta gamma di prodotti, dimostrando particolare vocazione per la meccanica leggera.
Arrivò anche un’evoluzione di carattere qualitativo nel settore meccanico. Il cambiamento venne sancito dal passaggio da una filiera di basso tenore tecnologico, che limitava i processi produttivi al mero assemblaggio di componenti prodotti fuori regione o all’estero, alla realizzazione di manufatti ingegnerizzati in proprio. Ed è esattamente da questo processo, iniziato negli anni ’50, che sorsero alcuni marchi destinati a marcare profondamente il quotidiano non solo di molti veneti, ma anche di numerosi italiani. Basti pensare alla nascente industria degli elettrodomestici.
Il tumultuoso sviluppo di questo nuovo concetto di imprenditoria, sorto all’ombra dei grandi poli industriali prossimi alla crisi, doveva buona parte del suo successo alla profonda cultura artigianale che perdurava, nonostante il repentino evolversi delle aziende venete. Anzi, in taluni casi, questo caratteristico know-how contribuì alla nascita di altri settori.
È il caso del calzaturiero sportivo del Montebellunese. Nato con una vocazione artigiana, la sua espansione fu merito della continua innovazione tecnologica dei produttori del settore e della fortunata intuizione di sfruttare al meglio le caratteristiche dei nuovi materiali plastici. La ridistribuzione delle fasi di produzione lungo impianti minori, oltre a risultare vincente, rappresenta il giusto paradigma per comprendere la fortuna e capire l’essenza stessa del modello economico veneto.
Un modello che nonostante i processi di ristrutturazione imposti dalla globalizzazione è ancora oggi caratterizzato da un elevato numero di piccole e medie imprese, prevalentemente manifatturiere, soprattutto prima della crisi iniziata nel 2008, ma ora sempre più attive anche nel settore dei servizi.
Un sistema imprenditoriale che ha fatto del proprio know-how artigianale e della capacità di aggregazione, oltre ad una crescente propensione all’internazionalizzazione e all’innovazione, le chiavi del proprio successo. Non è un caso che recenti studi pongano i distretti industriali del Veneto ai vertici della graduatoria nazionale per performance di crescita e redditività.